Parent Project APS: il volontariato comunica finalmente in modo nuovo
La campagna forte e irriverente di Parent Projcect aps sta facendo discutere e sta generando commenti di ogni genere sui social media.
Finalmente il mondo del Terzo Settore sembra mostrare un volto nuovo, sembra comunicare con un tono diverso da quello con cui lo ha fatto per anni. La campagna realizzata da Riccardo Pirrone e KIRweb per Parent Projcect aps sta facendo discutere e sta generando commenti di ogni genere sui social media.
Di che cosa si tratta? L’associazione si occupa della distrofia di Duchenne e Becker, una grave patologia che colpisce solo gli uomini e comporta una progressiva degenerazione dei muscoli. La ricerca ha fatto grandi progressi, ma c’è ancora bisogno di raccogliere fondi. La campagna pubblicitaria è stata realizzata insieme all’associazione: sono state fatte le foto e i ragazzi hanno scelto la frase che volevano abbinare alla loro immagine.
Abbiamo intervistato Riccardo Pirrone per capire come è nata questa campagna così speciale. «L’associazione ci ha contattato per una campagna che facesse parlare di loro, delle malattie rare» ci ha raccontato. «Della distrofia di Duchenne e Becker non si parla quasi mai, e volevano dare una scossa. Abbiamo elaborato tre idee, con diverso grado di viralità. Hanno scelto questa, la più forte. L’abbiamo progettata tre mesi fa. Abbiamo conosciuto i ragazzi, che ci hanno messo la faccia, e vorrei sottolineare che erano contenti, consapevoli, consci, attivi. Abbiamo fatto le foto e si litigavano le frasi tra di loro: io voglio dire questo, io sono contro gli omofobi, io sono contro i No Vax. La maggior parte dei commenti che ho letto riguardavano il fatto che avremmo sfruttato i disabili. In realtà è proprio il contrario. Loro erano parte attiva della campagna, ed erano molto più equilibrati e capaci di chi poi è venuto a commentare, che è stato il motore della campagna».
I commenti dei No Vax, come previsto, sono arrivati, e in maniera massiccia. «Sono commentatori in qualche modo voluti», spiega Pirrone. «Ho inserito il riferimento ai No Vax perché così riusciamo a sfruttare la forza comunicativa che ha il Covid a fin di bene, per parlare di una campagna di un’associazione di cui non si parla mai, sfruttando uno dei temi caldi di cui invece si parla troppo. Attraverso questa campagna riusciamo ad emergere, a sviluppare commenti sì di odio, ma di odio normalizzante. I ragazzi sono stati troppo ironici? Troppo graffianti? Lo dovete accettare, sono state le loro parole, lo volevano dire, lo volevano fare e sono stati contenti».
Rompere gli schemi della comunicazione sociale
La cosa da ribadire è che questi ragazzi sono persone, ognuna diversa dall’altra, ognuna con la propria testa e il proprio pensiero. «E allora non vedo perché altri disabili devono mettere bocca su quello che dicono altre persone con disabilità» riflette Pirrone. «Non vedo perché si debba non fare o ritirare la campagna quando il cliente è contento di farla e la vuole rilanciare, perché anche i giornali parlano di loro».
«L’obiettivo era rompere gli schemi della classica comunicazione sociale e farlo in maniera dirompente» aggiunge. «Altrimenti non ne avrebbe parlato nessuno. Hanno scelto questa via, erano sempre stati nell’ombra. Purtroppo la comunicazione dei No Vax è stata massiva, e non c’è stato supporto da parte del resto della popolazione. I No Vax hanno gruppi attivi di comunicazione dove si segnalano per incitare a commentare, a fare shitstorm. La cosa da una parte ci ha fatto gioco, ma dall’altra temevo che i ragazzi ci rimanessero male. Invece i ragazzi hanno commentato con i loro post, scrivendo di loro pugno. Anche loro hanno Facebook, e non sonno così sfruttati, anzi sono contenti e hanno detto: andiamo avanti tutta. Questo è stato il commento di Luca, l’ultimo che ho letto. Ora mi sono ritirato un po’ dai social, ho ricevuto offese pesanti e ho fatto un piccolo passo indietro. Io ci metto la faccia, mi piace parlare delle campagne e del mio lavoro. Ma se ricevi 50-60 messaggi con minacce di morte e violenze dici “facciamo calmare la cosa”».
È finalmente la normalità
Il fatto è che certe persone non possono accettare che una persona con una patologia possa avere delle idee, anzi devono essere per forza state sfruttate, perché il pensiero recondito è che questi ragazzi siano e debbano essere necessariamente incapaci di intendere e di volere.
Questo sistema di pensiero non aiuta il processo di normalizzazione delle diversità. «Sono persone che possono sbagliare come noi, possono essere stronzi come noi, quelle frasi possono essere considerate così», ribadisce Pirrone. «Ma questa cosa è finalmente la normalità, non capisco tanta lamentela anche dalla parte buona della popolazione. La cosa che mi piace della campagna è che l’ho fatta insieme al cliente. Volevo un epilogo diverso, ma sono campagne divisive, è normale che metà si schieri da una parte e metà dall’altra. A me dispiace perché alcuni attivisti per i disabili non hanno apprezzato, mentre altri sì. È una cartina da tornasole, fa emergere quanto problema è l’abilismo nella nostra società, quando è difficile per associazioni come questa emergere in un mondo in cui il mainstream la fa da padrone. E solo infilandosi nel discorso mainstream riusciamo a fare qualcosa. Forse faremo un passo avanti nei prossimi giorni. Non finisce qua».
Non ho mai visto tanto odio contro una campagna
In questa campagna la disabilità è vista come una condizione problematica, certo, ma non negativamente. Ma, soprattutto, la campagna dimostra che i disabili vivono come tutti in un contesto in cui questi comportamenti sono presenti, e possono ironizzarci sopra. «Ne ho preso coscienza conoscendoli», spiega Pirrone. «Non penso di cambiare le cose con una campagna. Faccio comunicazioni sociali da 4 anni, ho lavorato con tante associazioni e Ong. Non tutti riescono a creare un tono di voce differente, ma siamo riusciti a fare una comunicazione irriverente. Non piacciono a tutti? È probabile. Ma sui social è la normalità. La non normalità è che i No Vax, essendosi visti messi alla berlina da persone che loro considerano inferiori, si sono rivoltati contro talmente tanto andando ad attaccarli, ad attaccare tutti perché si sentivano in difetto. Non ho mai visto tanto odio contro una campagna come questa volta. Si sono sentiti toccati nel profondo».
I disabili: persone singole e non un gruppo
Ma soprattutto dobbiamo evidenziare il fatto che ogni frase è detta da una singola persona, che evidentemente la condivide, altrimenti non ci metterebbe la faccia. Parlano persone, non categorie.
«È finalmente il caso di considerare i disabili come persone singole e non come gruppo e non come entità. Mi danno fastidio i commenti di alcune attiviste disabili che si prendono la voce di tutti i disabili» precisa Pirrone. «Qui non si tratta solo di disabilità. Questa è una patologia che non ti fa arrivare neanche ai 35 anni. Certe attiviste fanno di tutta l’erba un fascio, e invece dovrebbero essere le prime a fare le differenze, e a considerare ogni persona singola e loro lo sono, perché lo hanno fatto, lo hanno scelto. E questo lo faremo vedere ancora».
Articolo di Maurizio Ermisino per Reti Solidali