W gli Haters. Un libro per disinnescare l’odio seriale
«Magari fai uno di quei bei frontali dove resti per ore agonizzante… per poi spirare». «Magari te svegli freddo». «Ti auguro ogni male. E sono serio». «Fai più schifo della stazione Termini». Perché offendersi? Un sorriso li seppellirà. È il metodo rivoluzionario – e parecchio anticonformista: reggetevi forte – proposto dal romano Riccardo Cotumaccio, 30 anni, speaker radiofonico e autore di W gli haters, un libro (edito da Bibliotheka) che cerca di offrire una soluzione al problema degli odiatori seriali: prenderla con leggerezza e, se possibile, con irriverenza nei confronti di chi vuole colpire l’altro per il puro gusto di farlo. Decine di vip, politici, giornalisti e talvolta anche persone comuni con pochi followers cadono ogni giorno nelle grinfie dei loro haters, dentro quello che Cotumaccio definisce «un oceano virtuale condannato all’inciviltà». Come rispondere? Ecco una proposta: cavalcando l’onda dell’acredine, per volgerla a proprio favore.
L’autore ha deciso di scrivere questo manuale di sopravvivenza nella rete nel momento in cui, iniziando a condurre un programma radiofonico di calcio molto seguito nella Capitale sulle frequenze di Teleradiostereo, si è trovato spesso coinvolto nel frullatore degli insulti da parte di ascoltatori frustrati per i risultati della loro squadra del cuore. «Io, ex paladino dell’antiberlusconismo militante con il santino di Marco Travaglio nel portafogli, a quel punto scendo in campo e per diversi mesi inauguro un’aspra battaglia virtuale volta a smentire le accuse di questi figuri». Il risultato è però un buco nell’acqua: energie mentali sprecate, tempo buttato, delusioni a ripetizione e altra rabbia generata. Così Cotumaccio decide di cambiare registro e di schernire, a sua volta, chi lo prende a male parole. E inizia a giocare con gli haters. «A quel punto divento intoccabile» spiega nel libro. Con un metodo, testato sulla propria bacheca: dai suoi social sparisce l’indignazione per un insulto ricevuto e la portata delle offese, quasi automaticamente, si ridimensiona. Poche settimane prima della pubblicazione del testo decide persino di incontrare dal vivo un suo contestatore, rendendosi conto che nella vita reale è una persona piacevole, educata e disponibile al confronto.
Un diverso approccio agli haters
Raccontando la sua esperienza, riga dopo riga, il giornalista evidenzia le cause che spingono tante persone, normalmente civili nella loro quotidianità, a sbraitare sui social: l’analfabetismo funzionale, la mancanza di cultura, le condizioni economico-sociali, la presenza di alcuni personaggi divisivi come Adinolfi, Pillon e Fusaro, la pervasività della televisione che tramite i talk show imbarbarisce da anni i confronti politici. E da giornalista dà anche la colpa alle testate: ai media «l’odio serve» anche per aumentare i click sul sito e le interazioni sui social. La responsabilità del mondo dell’informazione, secondo Cotumaccio, è abbastanza chiara. Ma c’è ancora una speranza: pagare le notizie, rendendole forse più elitarie ma qualitativamente migliori: perché la velocità, la gratuità e l’immediatezza del giornalismo 3.0 stanno crescendo generazioni di persone abituate a non approfondire più le tematiche complesse, accontentandosi della superficialità e dell’impatto emotivo di un titolo. Alla base di tutto, però, in “W gli haters” c’è un approccio completamente diverso al problema dei cosiddetti “leoni da tastiera”: prendendo meno sul serio il fenomeno dell’odio online «da boia, l’hater diventa decapitato».
«Se offendersi è inutile, portare in tribunale un hater può rivelarsi persino controproducente» ci racconta Riccardo Cotumaccio, spiegando la sua visione. «La perdita di tempo è al primo posto» aggiunge, «poi c’è una questione economica: il Trio Medusa, per citare un esempio, ha vinto una causa di questo tipo e ha portato a casa un paio di mila euro. Non ha senso per me. Queste persone insultano non conoscendoci, non bisogna prendersela. Se “FraCazzo da Velletri”, con 3 follower, dice che sono un mafioso, perché dovrebbe importarmi?». Secondo l’autore, tra l’altro, il dialogo costruttivo sui social network non paga affatto. Né risolve il problema alla radice. «Se l’hater vuole provocarti e aggredirti non cambierà mai idea. Tu puoi anche impiegare tutte le tue forze per convincerlo, motivare le tue posizioni, spiegare la tua vita, chi sei e come la pensi. Distruggerti è la sua missione, non mollerà. Io li tratto con indifferenza o ironia, la contro-presa in giro è un ottimo metodo». Si potrebbe a questo punto obiettare che non tutti hanno una forza caratteriale tale da reagire alle offese con spirito di fair play, porgendo l’altra guancia o fingendo che non sia successo nulla. Le offese, il più delle volte, feriscono. E la fragilità andrebbe protetta. Una considerazione che lo scrittore scardina così: «Nessuno di noi nasce con la capacità di saper andare in bicicletta, ma quasi tutti abbiamo imparato. Si può imparare, a prescindere dai caratteri, a contrastare gli haters. Il fenomeno non riguarda più soltanto chi fa comunicazione come me, o i personaggi famosi. E in quanto tale, dovremmo imparare tutti a contrastare un odiatore a prescindere dalla sagacia, dalla timidezza o dall’autoironia». Secondo un report di Amnesty International, l’odio online è in aumento costante e negli ultimi due anni si è addirittura radicalizzato, colpendo in modo trasversale i gruppi più vulnerabili. La Mappa dell’Intolleranza, un progetto volto a monitorare la diffusione dell’odio sulle nuove tecnologie, promosso da Vox-Diritti in collaborazione con quattro Università (Università degli Studi di Milano, l’Università Aldo Moro di Bari, Università La Sapienza di Roma, Università Cattolica di Milano), anche nel 2021 ha presentato dati allarmanti: da gennaio a ottobre sono stati estratti circa 800.000 tweet e tra questi il 69% è risultato discriminatorio. Alcune zone d’Italia, ad esempio, si contraddistinguono per la diffusione di alcune forme di intolleranza: la misogina al Nord, l’antisemitismo al Centro, la xenofobia al Sud. E non sempre la rabbia resta confinata nella Rete; c’è infatti una correlazione tra parole d’odio e crimini d’odio: negli stessi mesi in cui si è registrato un incremento della misoginia sul web, in Italia sono stati compiuti diversi femminicidi. Educare i giovani a un uso consapevole del web è sicuramente una strada praticabile (e auspicabile), ma anche la prospettiva “cotumacciana” può aprire nuovi orizzonti per la comprensione del fenomeno. Del resto, l’autore ammette candidamente e con una battuta «che dopo aver scritto “W gli haters” gli odiatori sono diminuiti perché mi hanno sgamato. Hanno capito che ho scritto un libro grazie a loro, li ho disinnescati».
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Riccardo Cotumaccio
W gli haters
Bibliotheka Edizioni
pp. 128 € 13,00
Articolo di Giorgio Marota su “Reti Solidali“