Una scuola inclusiva‚ ma anche di qualità
Ripartire dopo l’emergenza¸ e ripartire migliori di prima. Questa è la sfida che sta di fronte a tutti noi – singoli cittadini¸ associazioni¸ istituzioni¸ imprese e così via – e interpella anche la scuola¸ soprattutto quella che vuole essere aperta a tutti¸ inclusiva¸ fonte di opportunità per chi è più in difficoltà. Ne abbiamo parlato con Ada Maurizio¸ dirigente scolastico del CPIA3 di Roma¸ attualmente distaccata all’estero; Pamela Di Lodovico¸ docente di italiano per stranieri e collaboratrice dell’attuale dirigente del CPIA3¸ nonché referente di molti progetti; Eleonora Di Maggio¸ referente del progetto contro la povertà educativa Tutti a Scuola¸ di cui il CPIA3 è partner.
I Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti sono scuole statali rivolte a cittadini italiani e stranieri adulti (devono avere compiuto i 16 anni). Il CPIA3¸ in particolare¸ ha portato avanti negli anni progetti innovativi¸ basati sull’idea che l’educazione è un motore propulsore di crescita personale¸ culturale¸ sociale ed economica di tutti i cittadini.
Il Centro diurno “Gli Scatenati” offre molte attività formative e culturali
«Era l’anno scolastico 2015-2016¸ il primo anno del CPIA¸ e abbiamo pensato che andare noi nei luoghi dove si trovavano i ragazzi¸ fosse parte della nostra missione di scuola pubblica»¸ racconta Ada Maurizio. «Così è nato il progetto Gli Scatenati. Abbiamo formalizzato un accordo con il Centro Diurno Gli Scatenati¸ che accoglie ragazzi in difficoltภspesso segnalati dall’autorità giudiziaria¸ molti dei quali Rom. Grazie ad esso gli insegnanti statali andavano a fare scuola presso il Centro. Ho incontrato subito la disponibilità dei docenti ed è stata¸ per il CPIA3¸ un’esperienza importante¸ che ha poi dato vita ad altre esperienze simili. Due anni fa le cose hanno cominciato a cambiare: il clima interno non era più lo stesso¸ il ruolo degli insegnanti veniva dato per scontato¸ se si cercava di fare un ragionamento un po’ più serio sulla valutazione si trovava qualche resistenza… Però abbiamo tenuto duro e abbiamo deciso di portare avanti il progetto¸ perché sapevamo che¸ se anche uno solo di quei ragazzi fosse riuscito ad uscire dalla situazione in cui si trovava¸ o comunque ad acquisire delle risorse¸ ne sarebbe valsa la pena. Poi le cose sono cambiate e tra l’altro è arrivata la pandemia. Dopo una serie di valutazioni abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di far venire i ragazzi nella sede del CPIA3 a corso Vittorio».
Pamela Di Lodovico. «I ragazzi e gli operatori non sono stati molto contenti di questo cambiamento (ne abbiamo parlato qui)¸ che però andava affrontato come un’occasione¸ che avrebbe permesso ai ragazzi di raggiungere una maggiore autonomia¸ oltre che di mettere alla prova la loro volontà di seguire il percorso. In fondo li portavamo al centro di Roma¸ in una vera scuola¸ con delle uscite didattiche¸ con dei compagni¸ con nuove esperienze. Un ambiente diverso da quello del Centro Scatenati¸ certo¸ ma che poteva offrire nuove opportunità».
Eleonora di Maggio. «Il problema è che quando si parla di Rom non c’è mai niente di lineare: ci si trova sempre fra le mani una medaglia con un dritto e con un rovescio. Mi sembra importante quello che diceva Pamela: andare in centro con un gruppo di ragazzi Rom è una grandissima occasione educativa e in fondo è compito degli educatori rendere generativa qualsiasi esperienza i ragazzi facciano. Il problema è che la situazione dei Rom a Roma è talmente difficile¸ a causa delle politiche scellerate messe in campo negli anni¸ che non è facile neanche “leggere” la buon occasione. Lo dico in particolare per quanti provengono da Campi che si trovano ai margini della cittภdai quali spostarsi verso il centro è una vera impresa¸ ma vale anche in considerazione della serietà delle valutazioni: in una situazione come quella dei Rom a Roma¸ il titolo di terza media diventa un fattore di cittadinanza più di quanto non lo sia ciò che si riesce a imparare e che si infrange in una quotidianità povera di qualsiasi stimolo e opportunità».».
Reti Solidali. I dati della scolarizzazione dei bambini e dei ragazzi Rom a Roma sono disastrosi. Questa esperienza però apre uno scenario nuovo e scoprire che ci sono insegnanti motivati e disponibili è molto confortante. Ma perché è così difficile offrire percorsi scolastici degni di questo nome alle nuove generazioni Rom?
Ada Maurizio. «La disponibilità dei docenti ha un grandissimo valore¸ ma è importante sottolineare anche che¸ per una scuola pubblica¸ con tutte le sue regole¸ mettere queste risorse all’interno di un percorso didattico-educativo¸ implica un impegno organizzativo non indifferente¸ che comprende relazioni sindacali¸ accordi interni e così via. Abbiamo realizzato questa esperienza all’interno di una cornice di accordi e di regole: significa che queste persone svantaggiate si possono raggiungere¸ o andando o accogliendo. Il risultato è che abbiamo visto dei risultati sul piano didattico¸ ma non solo: è stata anche un’esperienza formativa per gli insegnanti che l’hanno fatta. Si sarebbe anzi potuto strutturare un percorso di formazione per gli insegnanti¸ a partire da qui. Insomma¸ questa esperienza ha un respiro molto ampio¸ come modello di collaborazione tra pubblico e privato¸ come percorso di formazione per gli insegnanti¸ come esempio di organizzazione…»
Eleonora Di Maggio. «Questa annotazione si inserisce nel dibattito più attuale sulla scuola: proprio in questo momento in cui la scuola è chiusa non si fa che parlare di come “aprirla” al territorio¸ alla costruzione di reti… Questo potrebbe essere lo sfondo sul quale costruire una nuova collaborazione¸ che sia una sperimentazione di modelli per costruire una scuola più inclusiva¸ aperta al territorio in un interscambio generativo¸ che sia davvero la scuola della seconda opportunità».
…continua a leggere l’articolo di Paola Springhetti su Reti Solidali
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