Sessualità e disabilità. Un corso contro pregiudizi e tabù
Il Forum Permanente sulla Sessualità delle persone con disabilità o con disagio mentale ha organizzato un corso, sostenuto da CSV Lazio, che si è tenuto nel mese di giugno, rivolto ad associazioni, operatori e familiari coinvolti nel caregiving. «Obiettivo di questi quattro incontri è stato quello di intervenire sull’ambiente di vita delle persone con disabilità per sdoganare un tema che, di fatto, è ancora un tabù», dice Michele Massimo Laforgia, psicologo sessuologo, responsabile del corso.
Condividere il valore del benessere sessuale
«Di benessere sessuale non se ne parla da nessuna parte, l’Italia è uno dei pochissimi paesi che non educa alla sessualità, a nessuna età, in nessun tempo e in nessun luogo e, quindi, quando si manifestano nelle persone con disabilità dei comportamenti sessuali molto spesso le famiglie vanno nel panico, e insieme a loro gli operatori, che non sono mai stati formati», dice Laforgia. «Mentre in molti altri campi che coinvolgono il benessere della persona ci sono un’attenzione e una formazione specifiche, la voglia di affrontare il tema, in questo campo, è nulla: si tratta come se fosse “polvere da mettere sotto il tappeto”. La nostra intenzione è quella di creare una comunità che condivida il valore del benessere sessuale come diritto di tutti gli esseri umani, che metta ciascuno nella condizione di poter vivere il proprio benessere sessuale, in modo tale che la sessualità non sia repressa, evitata, demonizzata ma canalizzata, come può accadere per mille altre sfaccettature della vita umana».
Peer educator
Ciascuno, in questi corsi, diventa peer educator. «È la cosa migliore far partecipare associazioni, familiari ed operatori, in modo che ciascuno porti, al di fuori del corso, alcuni concetti fondamentali, adesioni valoriali e non tecnicismi, in modo da smontare tutta una serie di luoghi comuni e stereotipi che esistono sul tema del benessere sessuale e della disabilità».
Negli incontri, la parte più importante è quella relativa ai motivi per cui è necessario parlare di sessualità delle persone con disabilità o con disagio mentale. Il primo motivo è che le soluzioni attualmente messe in atto sono pesanti e pericolose. «Quando si fa riferimento ad un’inibizione farmacologica della sessualità o al mercato della prostituzione come soluzione, è evidente che non possono essere quelle le migliori soluzioni possibili. Il punto da cui partiamo sempre è quanto sia importante parlarne, il primo messaggio che deve passare è che le famiglie non sono sole: i caregiver vivono uno stato di fatica psicofisica incredibile», spiega Laforgia. «Un altro punto importante è la conoscenza dello sviluppo corporeo affettivo delle persone con disabilità. È anche fondamentale capire che si tratta di una vera e propria parte di un piano educativo individualizzato. Come avviene per le altre aree di vita, essendo la sessualità qualcosa di assolutamente soggettivo, si può intervenire solo in maniera individualizzata. Poi c’è un tema più tecnico che riguarda il riconoscere, gestire e prevenire i comportamenti sessuali inadeguati. Durante il corso abbiamo anche visto dei casi clinici insieme, abbiamo fatto degli esempi e lavorato in maniera tale da dare un corredo pratico a tutte le informazioni teoriche acquisite».
Educazione sessuale in tutte le scuole
«In Italia non c’è la voglia di vedere il tema, in nessun luogo. Evitiamo di fare educazione alla sessualità, ogni volta che lo si propone in Parlamento vengono alzate delle inutili barricate. Questo crea un ambiente ostile, che disabilita ancora di più le persone. Il nostro concetto di disabilità è quello che è dato dall’interazione tra le condizioni di salute dell’individuo e l’ambiente circostante. Sessualmente siamo potenzialmente tutti dei disabili perché nessuno di noi è stato educato», afferma Laforgia. «Ciò crea un problema ancora più grosso perché quando si manifestano dei comportamenti sessuali nelle persone con disabilità non si hanno i presupposti per poter agire, intervenire, anche solo per poterli accettare, per far sì che questo non sia uno stimolo spaventante ma un evento che può accadere nella vita e che in qualche modo va preso in carico. Come facciamo per tutti gli altri aspetti. Sulla sessualità abbiamo uno zainetto pieno di tabù che ci rende pesanti, poco lucidi, ci crea problemi». Il punto di partenza dovrebbe essere la sessualità nelle scuole di ogni ordine e grado. «Essendo la sessualità corpo, emozioni, pensieri e relazioni, e non genitalità e penetrazione, si può fare a tutte le età. Educare al corpo si può fare anche alla scuola dell’infanzia. La cosa strana della sessualità che è dappertutto tranne dove dovrebbe essere, ovvero nei luoghi formativi. Con gli smartphone la sessualità è accessibile ovunque a tutte le età, ciononostante continuiamo a non fare educazione sessuale. Questo crea un problema anche in termini di inadeguatezza: se ci si avvicina alla sessualità attraverso quello che si trova on line, è altamente probabile che si svilupperà un vissuto di totale inadeguatezza. Ciò a prescindere dalla disabilità, che è un enorme cappello dove entra tutto e non entra niente: è proprio l’ambiente che è sessualmente ostile».
Dalle parole ai fatti
Il Forum Permanente sulla Sessualità delle persone con disabilità o con disagio mentale di Roma si è costituito quasi due anni fa, a partire da un Comitato promotore di dieci realtà associative, particolarmente sensibili al tema e tutte impegnate nel campo della disabilità, della salute mentale o dei diritti di cittadinanza. Oggi il Forum è composto da circa 40 associazioni, soprattutto di Roma e di Rieti.
«Il Forum l’abbiamo messo in piedi perché la cosa paradossale è che, chi cerca di sostenere le persone che hanno problemi di disabilità o di disagio mentale, tiene conto di tutti gli aspetti che riguardano la vita quotidiana delle persone ma non affrontano la sessualità», dice Virginio Massimo, uno dei due coordinatori del Forum, insieme a Renato Frisanco. «Quando abbiamo iniziato ad organizzare delle iniziative, abbiamo riscontrato una grossa difficoltà a passare dalle parole ai fatti, per tradurre le buone intenzioni in azioni concrete. La strada principale per cercare di sbloccare il problema della sessualità e della disabilità è quello della formazione dei familiari e degli assistenti vicini alle persone con disabilità e con disagio mentale. A livello politico, c’è una proposta di legge dell’assistente sociale per persone con disabilità e con disagio mentale, ma giace in Parlamento come tante altre. Sarebbe importante creare un movimento di opinione e coinvolgere più associazioni possibili per portare ad una legge che regoli questo tema».
A Roma non esiste una ricerca che presenti dati concreti per illustrare (ad esempio, in due quartieri diversi) il problema della sessualità delle persone con disabilità o con disagio mentale. «Lo trovo assurdo, sarebbe importante avere dei numeri da cui partire, sapere cosa le persone pensano. Dovremmo anche avere degli sportelli che raccolgano e diano delle informazioni: questo è solo un desiderio, non abbiamo la possibilità per il momento di attivarli», continua Massimo.
Il corso organizzato a giugno ha riscontrato un alto interesse e un forte gradimento. «Ma è una goccia nel mare. La formazione andrebbe fatta a tappeto. Le associazioni dovrebbero essere più attive, impegnarsi nel concreto e coinvolgere le persone: per raggiungere risultati positivi non ci si può fermare alla manifestazione di un interesse».
Articolo di Ilaria Dioguardi su “Reti Solidali“