Il Servizio Civile al tempo del Covid: una scuola di vita
La testimonianza di alcuni giovani. Che hanno dovuto e saputo reagire, insieme alle loro associazioni
C’è voluto il coronavirus per capire quanto ragazze e ragazzi sotto i 30 anni possano dare alla società in termini di idee ed energie nuove. Basta dare loro un’occasione per mettersi alla prova ed ecco che da neet, choosy, svogliati e bamboccioni diventano proattivi, stachanovisti, creativi e resilienti. Nell’ultimo anno questa opportunità l’ha fornita il Servizio civile, il tassello tra università e mondo del lavoro che, da una parte, garantisce ai partecipanti l’acquisizione di quelle soft skills sempre più richieste in sede di colloqui, dall’altra facilita la crescita della coscienza sociale e la maturazione delle motivazioni all’impegno.
«Stavo quasi per terminare il periodo di formazione quando il Covid ci ha costretti a fermarci: siamo rimasti chiusi dal 9 marzo al 13 maggio: non è stato un buon inizio», esordisce Chiara Tirocchi, attiva presso Progetto Casa Verde di Roma. «Durante il lockdown ho solo controllato le mail e risposto dove potevo. Quando la sede è stata riaperta, mi hanno affidato compiti di segreteria e di accoglienza. Ne ho approfittato per fare un restyling dei canali social dell’associazione e delle piattaforme digitali, organizzando un palinsesto di pubblicazioni di post e condivisioni di articoli di enti simili al nostro. Nonostante l’interruzione, ritengo sia stata un’esperienza positiva, perché ho imparato a relazionarmi con persone adulte con idee diverse dalle mie. Mi sono scoperta una buona confidente, ascoltando gli sfoghi delle persone. Un anno è passato in fretta, ma continuerò a dare una mano anche dopo la fine del progetto».
«Non potevamo sperare in un periodo migliore per fare volontariato: mi sono resa conto di quanto sia importante fare qualcosa, quando ci si trova davanti a un bisogno», così Raffaella Anna Indaco, che ha prestato tempo ed energie ad Arciragazzi. «Vedere che il tuo intervento porta più benefici rispetto al solito è incredibilmente stimolante. Lavoro per una casa editrice e ritrovarmi nel ruolo di educatrice è stato entusiasmante. Reinventare me stessa per superare le difficoltà è l’insegnamento più importante che mi porto da questa esperienza. Insieme ad altre due ragazze siamo riuscite a trasferire un centro di aggregazione giovanile online, organizzando giochi sulla piattaforma Zoom, lanciando contest e investendo in tutorial. Un’iniziativa che mi è rimasta nel cuore è l’erogazione a distanza di un corso per realizzare burattini, finalizzato alle scuole».
«Fino a marzo siamo stati impegnati con gli anziani, poi la quarantena ci ha costretto a chiudere la nostra sede», racconta Manuela Marini dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer a proposito della sua esperienza di servizio civile al tempo del Covid. Per prima cosa abbiamo mantenuto i contatti: ogni socio è stato chiamato due volte a settimana per parlare del più e del meno. Non abbiamo dimenticato il supporto psicologico ai familiari, lasciati soli a provvedere alle esigenze del parente. Quando la situazione è leggermente migliorata abbiamo aperto a visite saltuarie ma con poche persone accolte all’aperto, perché non tutte riuscivano a tenere la mascherina per tanto tempo. È vero, non è stato esattamente quello che mi aspettavo all’inizio, ma mi sono trovata così bene che ho deciso di rimanere a disposizione dell’associazione».
«In momenti difficili come questo è decisivo superare la prima fase, la più dura», conclude Federica Scarpellini, impegnata presso l’Associazione Italiana per la lotta alle Sindromi Atassiche. In dieci giorni abbiamo progettato un percorso di fisioterapia da remoto, somministrando agli utenti un questionario online per capire il livello di autonomia di ciascuno. In un secondo momento, in base ai risultati, ho formato tre classi diverse, condividendo su Whatsapp un calendario per schedulare le terapie. L’ho trovata un’esperienza sfidante dal punto di vista professionale: nonostante la visibilità ridotta, ho sviluppato una grande capacità verbale nel saper descrivere nei minimi particolari un movimento che un malato deve essere in grado di replicare a distanza da solo o in compagnia. Certo, correggere più persone contemporaneamente è complicato. Eppure questa metodologia li aiuta a conoscersi meglio e a distinguere le sensazioni che sentono».