Tumore al seno: a Minturno il supporto arriva dalle capricciose
L’associazione di volontariato Le Capricciose si è formalmente costituita il 12 ottobre scorso, ma il gruppo che la compone è attivo nel basso Lazio da circa tre anni. Nata grazie a una cena che ha riunito donne in rosa (donne che hanno, o hanno avuto, il cancro al seno) attraverso il passaparola, l’organizzazione di volontariato con base a Minturno oggi è composta da 22 membri che si riuniscono una volta a settimana, per parlare dei problemi derivati dal tumore. Tra loro è presente anche un uomo, il loro “capitano”, così soprannominato dalle socie dell’organizzazione, anch’egli affetto da tumore alla mammella che, seppur raro nella popolazione maschile (il carcinoma maschile rappresenta lo 0,5-1% di tutti i tumori al seno), negli ultimi anni è in aumento. «Siamo un gruppo molto affiatato», spiega Antonella Macaro, presidente dell’associazione, «abbiamo anche un gruppo whatsapp, in cui ci sosteniamo l’una con l’altra e aiutiamo le donne che ci contattano e che stanno affrontando questo problema» (qui il gruppo Facebook de Le Capricciose)
L’auto aiuto rosa che mancava
L’aiuto psicologico subito dopo la diagnosi è fondamentale, ma non tutte le strutture sanitarie, di provincia, riescono a fornire questo tipo servizio. «Quando ti trovi ad affrontare questo problema», sottolinea la presidente, «non sempre l’istituzione, che può essere ospedaliera o sociale, è in grado di seguirti; cadi quindi in una voragine, come è successo a me. La depressione è dietro l’angolo e avere un supporto aiuta tantissimo».
Quando ad Antonella è stato diagnosticato il cancro al seno, ha incontrato delle volontarie nell’ospedale romano in cui era in cura ma, tornando a casa, ha scoperto che erano assenti nelle strutture del suo territorio. Una mancanza che ha portato lei, come la maggior parte delle donne cui viene diagnosticato il cancro, in una situazione di profondo sconforto.
Lei stessa racconta di come ha preferito chiudersi nella tranquillità della sua casa, per evitare di rapportarsi con il mondo esterno e affrontare tutte quelle situazioni che creano difficoltà. «Quando sei circondata da persone che non sanno nulla del tuo problema, vivi un profondo disagio, non vuoi vedere nessuno perché il solo indossare una parrucca o aver perso ciglia e sopracciglia crea soggezione».
Grazie a un incontro fortuito in un supermercato con Rosaria Vattucci, Antonella ha realizzato quanto fosse terapeutico il confronto con altre donne che vivono nella stessa situazione. Rosaria, oggi anche lei socia di Le Capricciose, quando ha incontrato Antonella era in cura, e i segni della terapia erano ben visibili. «Sono riuscita a tirarla su raccontandole la mia esperienza; cinque anni fa ho avuto il problema al seno e due anni fa ho avuto un problema al colon, e condividere la medesima situazione significa molto perché, nel momento in cui ti diagnosticano un cancro, non tutti riescono a prenderlo con forza (è qualcosa che va preso di petto altrimenti è difficile gestire tutto), e parlarne è importantissimo.» Parlare della propria malattia, ma anche della mutata quotidianità, rende il percorso di cura meno gravoso, e così le donne in rosa hanno deciso di creare prima un gruppo e poi un’associazione dove il nome “le capricciose” sta a indicare il seno che fa i “capricci”.
Lo sportello ascolto, la carovana e il futuro di Le Capricciose
Tra gli obiettivi della neonata associazione vi è quello di “gridare” prevenzione.
Oltre alle riunioni settimanali del mercoledì, l’associazione organizza una serie di iniziative volte a portare l’attenzione sulla causa e a raggiungere il maggior numero di persone possibile.
«Attraverso gli eventi che organizziamo, come la camminata o la tombola in rosa, cerchiamo di raccogliere dei fondi che poi devolviamo direttamente alla Komen Italia. Stiamo inoltre cercando di far diventare il nostro territorio una delle tappa della Carovana della prevenzione, in modo da dare a tutte la possibilità di effettuare uno screening gratuito. Purtroppo», continua la Presidente, «qui non sono presenti le terapie integrate, come ad esempio l’agopuntura, che sono prassi nei grandi centri di Roma Napoli o Caserta; ma il nostro obiettivo è quello di poterle portare in piccolo anche da noi.»
Articolo del 10 novembre dalla rivista “Reti Solidali”