Evavol: la piattaforma che aiuta i giovani a documentare le competenze
Facendo servizio civile o volontariato si imparano molte cose. Ma come validare le competenze acquisite? Grazie ad un progetto europeo ora è più facile
Ragazzi, usatela. La nuova piattaforma Evavol può esservi utile e non solo per il motivo per cui è nata, cioè per validare le competenze che si acquisiscono facendo volontariato o servizio civile. Da queste esperienze hai imparato qualche cosa? Perché non fartele riconoscere dalla tua scuola/università/istituto di istruzione e poi metterle nel curriculum? Buona idea, ma non così facile da realizzare, perché le competenze acquisite qualcuno le deve certificare e per farlo ha bisogno di dati oggettivi.
Per questo è nata Evavol (che sta per E- Validation of learning outcomes from volunteering), frutto dell’omonimo progetto europeo, che ha creato un metodo e il relativo strumento per applicarlo (la piattaforma è a questo link). La piattaforma accompagna in un percorso, che passa attraverso quattro step: il primo è l’identificazione di quello che si è appreso durante l’esperienza di volontariato; il secondo è quello della documentazione, cioè della raccolta delle “prove” che quelle competenze sono state acquisite; il terzo è quello della valutazione e della costruzione del portfolio da presentare a chi dovrà certificare il tutto (e questa è la quarta fase del processo)
Un’esperienza importante
Al progetto hanno partecipato anche quattro giovani italiani, che stavano facendo il loro servizio civile. Cristina Patacchiola ha 29 anni e una laurea in lingue ed era in servizio presso il Centro Alzheimer di Cantalice. «Partecipare al progetto è stato molto gratificante», dice. «Ho potuto conoscere altre realtà, situazioni, forme di volontariato e incontrare ragazzi italiani, portoghesi, spagnoli, irlandesi».
È d’accordo con lei Marta Macera, che ha 22 anni, è al terzo anno di Graphic design e ha fatto il servizio civile in Avis a Roccagorga (LT) ed è contenta di aver partecipato al progetto perché è stata «una esperienza utile sia a livello di lingua sia a livello personale e culturale. La lingua del progetto era l’inglese: abbiamo parlato solo in lingua e imparato molto». Anche per Laura Bellucci (26 anni, laurea in lingue, servizio civile nell’associazione Primavera di Lanuvio) «è stata un’esperienza di crescita. Mi ha aiutato anche nelle relazioni interpersonali: dover parlare in pubblico, in un’altra lingua, ha aumentato la mia sicurezza. Il fatto è che queste esperienze ti costringono a metterti in gioco». E poi, «confrontarsi con ragazzi di altri Paesi europei è sicuramente un accrescimento, anche sul piano culturale. E fare gruppo con questi ragazzi è un’esperienza formativa», aggiunge Michele Navini, 22 anni, studente di infermieristica a Viterbo, in servizio civile presso l’associazione Aman, che si occupa di persone con malattie oncologiche.
Quale competenza?
Come abbiamo detto, il percorso che porta alla validazione delle competenze acquisite inizia con l’identificazione della competenza in questione, e questo è stato chiesto di fare anche a loro. Laura e Marta hanno scelto la comunicazione interpersonale, Michele il problem solving, come Cristina. Cose che, se inserite nel curriculum, possono fare la differenza quando si fa un colloquio o si viene valutati per un’assunzione. E loro queste competenze le hanno ottenute, anche se, secondo Michele «non può bastare una sola esperienza per acquisire completamente la capacità di problem solving. Ma, certo, ho fatto grandi passi avanti».
L’incontro a Bruxelles
L’altro passo importante per “entrare nel progetto” è stata la produzione di brevi video per presentarsi, raccontare l’esperienza e la proprio scelta.
Sulla base di questi video è stata fatta la selezione dei partecipanti ed è iniziato realmente il percorso, culminato in un incontro a Bruxelles all’inizio di marzo, appena in tempo prima che iniziasse il lockdown. Qui hanno fatto da tester della prima piattaforma, ancora sperimentale, indicando difficoltà e problemi aperti e facendo proposte di implementazione. Ed è qui che è avvenuto «l’incontro con gli altri volontari, la conoscenza reciproca, il confronto sulle competenze acquisite», ricorda Laura. «È nato un bel legame, che avremmo anche potuto coltivare meglio se non ci fosse stato il lockdown, che ha fatto saltare gli incontri successivi».
La piattaforma, per riflettere
Dicevamo però che la piattaforma – e l’idea che c’è dietro – non è solo uno strumento tecnico per validare le competenze, ma il punto di arrivo di un percorso che viene proposto a ogni giovane che faccia un’esperienza di volontariato e che lo accompagna verso una maggiore consapevolezza di quello che sta vivendo. E quindi un modo per “farlo fruttare” meglio. «In fondo ci invitavano a fare una riflessione su noi stessi, spiega Cristina, «e abbiamo cominciato a porci delle domande. Non ci sono stati corsi formativi specifici sulle competenze che volevamo acquisire: io le ho raggiunte attraverso la riflessione su me stessa».
È d’accordo anche Laura, che alla riflessione accosta il valore dell’esperienza, raccontando che «avevo già fatto volontariato con l’associazione, e avevo capito quanto fosse importante, per me, focalizzarmi sulla comunicazione interpersonale, perché quando si lavora con persone disabili si deve fare i conti con il fatto che c’è chi interagisce attraverso alcuni linguaggi e alcune modalità e chi attraverso altre (teatro, attività manuali, musica…). Non bastano le parole, ma servono forme artistiche e ricreative. Ecco, per conoscere queste realtà ti ci devi immergere. Tanto più che ognuno di noi ha un approccio diverso…». Cristina aveva seguito anche alcune lezioni su come entrare in contatto con i malati di Alzheimer, e Michele aveva seguito alcuni corsi teorici, perché quando si lavora con persone malate e ricoverate in ospedale è indispensabile sapere come comportarsi, «ma è con la pratica, che capisci come relazionarti», conferma.
Per questo, alla fine, Cristina consiglia di investire un po’ di tempo sulla piattaforma: «ti aiuta a vedere una visione di insieme della tua personalità, a conoscerti meglio». A parte Evavol, «il servizio civile è un’esperienza troppo formativa per trascurarla» ribadisce Michele: «nessuno se la dovrebbe far sfuggire. E in fondo è anche un primo approccio al mondo del lavoro». Anche perché, spiega Marta, «Il servizio civile ti avvicina a persone diverse tutti i giorni. Almeno questo è successo a me che lavoravo in Avis, visto che i donatori non sono sempre gli stessi».
La piattaforma, aiutando a riconoscere le competenze, congiunge il servizio civile (o il volontariato) con il percorso di studio e con il mondo del lavoro e nello stesso tempo «promuove un riflessione, una maggiore consapevolezza. Gli stessi documenti che si raccolgono per ottenere la validazione invitano alla riflessione», conclude Laura.
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